Buongiorno a tutti! Con la XXXIII domenica del Tempo Ordinario si conclude la lettura continua del Vangelo di Marco, che ci ha accompagnato per tutto l’anno liturgico. La pagina su cui oggi ci fermiamo a meditare è tratta dal capitolo tredicesimo, in cui è contenuto il discorso escatologico di Gesù. “Escatologico” ed “escatologia” sono termini che i teologi usano per riferirsi al destino finale dell’umanità e del mondo. Un destino che si compirà quando, alla fine dei tempi, «il Figlio dell’uomo verrà sulle nubi con grande potenza e gloria» per dirci, lo speriamo, «venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dall’origine del mondo». Mettiamoci in ascolto della Parola.
Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato si colloca temporalmente nel martedì o mercoledì della Settimana Santa. Il sole sta tramontando e Gesù, in compagnia dei suoi discepoli, sta uscendo dal Tempio per dirigersi, come suo solito, verso il Monte degli Ulivi. L’atmosfera è carica di entusiasmo ed eccitazione, e i discepoli del Nazareno sono attratti soprattutto da ciò che “luccica”, da ciò che appare glorioso. Guardando verso la città, rimangono abbagliati dalla bellezza delle cupole dorate. Non possono fare a meno di attirare l’attenzione di Gesù, invitandolo ad ammirare la bellezza delle pietre del Tempio. Gesù, girandosi, con il volto serio, pronuncia parole che raffreddano immediatamente il loro entusiasmo: «Di questo Tempio meraviglioso non rimarrà in piedi neppure una pietra!». La durezza delle parole di Gesù è un forte invito, rivolto ai discepoli, a non fermarsi alle apparenze, perché è chiaro che non hanno ancora compreso quale Regno il loro maestro sia venuto a inaugurare. Pensano, infatti, che potranno regnare con lui, sedendosi chi alla sua destra e chi alla sua sinistra, con privilegi e potere. Gesù ricorda loro che, per quanto bello possa apparire il Tempio, esso è destinato a finire, come tutte le realtà di questo mondo. I discepoli devono piuttosto imparare che l’essenziale è rimanere saldi nella fede, credere che Gesù è il Signore e che la sua Parola è l’unica parola capace di illuminare e dare senso a ciò che accade. Tutto passerà: il cielo e la terra passeranno, ma le parole del Vangelo sono destinate a riempire di senso, sino alla fine, tutte le esperienze di tribolazione che gettano nel cuore dell’uomo angoscia e paura.
Sono curiose le prime parole del Vangelo che abbiamo ascoltato, parole che profetizzano eventi terribili. Da un lato, Gesù parla di “tribolazione”, riferendosi a guerre, carestie, e persecuzioni. Dall’altro, descrive il sole che si oscura, la luna che non splende, le stelle che cadono: un cosmo, insomma, completamente sconvolto. Sono tutte cose che nessuno vorrebbe mai sperimentare in prima persona. Quando le immagini, sempre più numerose e frequenti nei telegiornali, ci mostrano gli effetti disastrosi delle calamità naturali; gli scenari futuri per il pianeta causati dal riscaldamento globale, dall’inquinamento dell’aria e delle acque, dall’impoverimento delle risorse energetiche; e i volti disperati di migliaia di persone in fuga da guerre e fame, è naturale pensare che siano segni di una fine imminente. Ma non è così. Questi eventi non sono segni della fine, bensì conseguenze di comportamenti scriteriati che richiedono da parte dell’umanità intera una conversione ecologica, un cambiamento di mentalità che può nascere solo dall’accoglienza di una Parola che illumina la coscienza, consentendole di discernere. Per questo Gesù ci invita a imparare a leggere la natura, a interpretare i segni della vita che resiste anche in mezzo ai tanti attentati che sembrano minacciarla radicalmente. «Imparate dal fico», ci dice. La natura parla e ci racconta una parabola, invitandoci a essere attenti alla vita, a riconoscerne il valore e darle la possibilità di fiorire.
Signore, Dio della vita, aiutaci a combattere l’idea che il mondo sia un magazzino di risorse da sfruttare per le nostre necessità; rendici attenti a tutti i segni dei tempi e illumina le nostre coscienze, perché sappiamo apprezzare il valore di ogni realtà creata e riconoscere che tutti e tutto, come ci ha insegnato san Francesco d’Assisi, sono parte di una relazione universale di fraternità. Così sia.