Buongiorno a tutti. Il Vangelo dell’undicesima domenica del Tempo Ordinario ci presenta due brevissime parabole ambientate da Gesù nel mondo dei campi. Un mondo metaforicamente ricco e capace di aiutarci ad intuire qualcosa di più del Regno di Dio da lui annunciato ed inaugurato. Ascoltiamo con fede.
Gesù, dopo aver pronunciato la parabola del seminatore, narra altre due parabole per spiegare alle persone che lo ascoltano cosa sia il regno di Dio. In entrambe, prende ancora una volta come esempio il seme caduto a terra. Per Gesù, esiste un’analogia stretta tra l’apparire del regno di Dio e il processo che porta alla formazione del grano, il quale inizia con la semina, per poi continuare, passo dopo passo, con la comparsa dei primi germogli, delle spighe, e delle spighe mature piene di altri semi. Guardando alla potenza presente nel seme, sembra dire Gesù, non si può non rimanere meravigliati. Il contadino vi assiste come se si ripetesse davanti ai suoi occhi il miracolo della vita che sempre si rinnova senza che, in alcun modo, dipenda da lui. In fondo, il suo compito consiste nel seminare il seme nella terra e attendere; sia che lui dorma o che si alzi di notte per controllare ciò che accade, la crescita avverrebbe comunque. Anzi, se il contadino volesse misurare la crescita andando a verificare cosa accade al seme sotto terra, minaccerebbe fortemente la nascita e la vita del germoglio. Ecco allora l’insegnamento di Gesù: occorre meravigliarsi del regno che si dilata sempre di più, anche quando noi non ce ne accorgiamo, e, di conseguenza, occorre avere fiducia nel seme e nella sua forza. Perché il seme è la Parola che, seminata, darà frutto anche se chi la semina non se ne accorge né può verificarne il processo! Nessuna ansia pastorale, quindi, ma solo SOLLECITUDINE e ATTESA; nessuna angoscia di essere sterili nell’evangelizzare: se il seme è buono, se la parola è parola di Dio e non PAROLA DI DIO STRAVOLTA o DISTORTA, produrrà i frutti del Regno anche se non immediatamente.
Segue un’altra parabola, sempre sul seme, ma questa volta su un seme di senape. Anche in questa parabola Gesù dimostra d’essere un profondo conoscitore della natura, capace di trarre un insegnamento da tutto, anche da ciò che appare agli occhi degli uomini insignificante, irrilevante. Egli sa bene che il chicco di senape è tra i semi più piccoli, eppure anch’esso, se seminato in terra, diventa un albero che si impone. Sembra impossibile che da un seme così minuscolo possa derivare un albero tanto rigoglioso: anche qui c’è dunque da stupirsi, da meravigliarsi! Ciò che ai nostri occhi appare piccolo può, di fatto, produrre una pianta sulle cui fronde gli uccelli possono costruire il loro nido. Sì, anche questa parabola vuole comunicarci qualcosa di decisivo: la parola di Dio che ci è stata donata può sembrare piccola cosa, rivestita com’è di parola umana, fragile e debole, soprattutto quando è messa in bocca a uomini e donne poveri e insufficienti. Eppure, quando è seminata, proprio perché è parola di Dio contenuta in parole umane, è feconda e può crescere come un albero capace di accogliere tante creature.
Il regno di Dio, tema che unisce le due parabole, è il sogno di Dio per l’umanità intera, anzi, per l’intera creazione, la quale, come dice san Paolo nella Lettera ai romani, attende e geme finché si compia la redenzione dei figli di Dio. Attende e geme, potremmo dire, finché gli uomini e le donne del mondo si riconoscano membri della medesima famiglia perché provenienti dalla medesima origine, dal medesimo seme. Quel seme del regno che siamo chiamati a piantare nel cuore delle persone senza avere l’impazienza di raccogliere i frutti, consapevoli d’essere inadeguati e piccoli come il granello di senape.
Signore, fai che il sogno del tuo regno diventi sempre più anche il nostro sogno, perché possiamo vivere nella piena armonia con tutti e con tutto. Così sia.