Confutare gli errori delle moderne filosofie e delle ideoprassi[1] prevalenti, scriveva don Paolo Arnaboldi[2], potrebbe essere anche relativamente facile, è un esercizio che alcuni studiosi cattolici riescono ancora oggi a completare.
Il punto della questione tuttavia non è solo confutare questi errori, perché non si tratta di teorie filosofiche disincarnate, ma al contrario di vere e proprie correnti di vita che innervano le strutture delle nostre società, cosa per cui le parole e le dimostrazioni stanno quasi a zero, perché non scalfiscono se non superficialmente degli stili di vita collettivi ormai acquisti e interiorizzati come “naturali”, benché invece autodistruttivi: pensiamo al consumismo acritico, al materialismo e naturalismo diffusi, all’accettazione implicita della miseria di alcuni come effetto collaterale del benessere, all’inverno demografico, all’aborto e al divorzio assunti come normalità, al gender e all’omosessualismo come prevalere delle passioni sulla ragione, all’indifferenza per la soprannatura, tutte pratiche in definitiva contrarie alla vita della persona e della comunità.
Questi processi sono talmente radicati e acquisiti che la cultura che ne scaturisce è così intrisa di fede ideologica falsa che quasi non riesce più nemmeno a sviluppare strumenti teoretici critici capaci di confutarli sul piano argomentativo: ormai, la prassi generata inizialmente dalla cultura genera a sua volta la cultura che le serve per auto-giustificarsi, seppur nell’errore[3], in un circolo vizioso che si protrae e autosostiene in modo coerente e univoco, senza apparente termine.
Benché feroce e potente, non è tuttavia questo un processo inesorabile né inevitabile. Dato che l’ente dinamico è sempre in costruzione restano comunque spazi di manovra per invertire la tendenza, anche se l’inversione di una tendenza maligna sempre più penetrante richiede una forte dose di fatica e anche di sofferenza in proporzione al male che si è incarnato.
Nonostante, come dicevamo, la confutazione teoretica non sia sufficiente, essa resta comunque necessaria e ineludibile, purché a questa si affianchi una corrente di vita coerente, capace di contrapporsi alle correnti di vita prevalenti. Scrive a questo proposito don Paolo Arnaboldi:
“Bisogna che i cristiani si persuadano che quando hanno dimostrato al comunista[4] e al laicista che hanno torto, hanno solo incominciato la loro opera, che deve essere subito dinamicamente tradotta nella vita: e che sappiano che nella vita, vincerà chi agirà di più, e in definitiva prevarrà la corrente più dinamica, più attiva[5]”. Se il falso risulta più dinamico del vero finirà per imporsi anche se falso, questo almeno nel medio periodo[6].
Forti di questa consapevolezza resta da comprendere in cosa consista questa corrente di vita.
A tal proposito ci viene in aiuto quanto abbiamo scritto nei nostri interventi dei mesi passati, cioè quando abbiamo accennato alla comprensione della realtà storica come organismo dinamico: è proprio questa categoria che ci permette non solo di comprendere il mondo, ma anche di costruirlo come corrente viva e vitalmente operante.
L’organismo dinamico, con i suoi processi vitali, è la chiave di volta di tutti i nostri ragionamenti, lo strumento che ci permette non solo di orientare la costruzione di macrostrutture sociali, ma anche e forse soprattutto delle microstrutture nelle quali noi tutti siamo inseriti e sulle quali possiamo agire concretamente ogni giorno: dall’azienda alla famiglia, dalla società sportiva alla parrocchia, dal sindacato al partito politico.
L’organismo dinamico, come già scritto, non è paragonabile all’organismo biologico, perché questo è chiuso nella sua struttura unica e immodificabile. Un simile accostamento implicherebbe l’impossibilità di ogni cambiamento, e farebbe dell’organismo sociale una realtà chiusa, già data, destinata ad uno staticismo mortifero o a un panteismo naturalistico.
Anche le forme organiche di tipo olistico non si adattano all’organismo dinamico: in quelle infatti la logica del tutto si impone in modo necessario e coercitivo alle sue parti, strette in obblighi necessari, prive di libertà individuale, degradanti in taluni casi a forme panteistiche spirituali.
L’organismo dinamico per sua natura è piuttosto una sintesi progressiva di libertà umana e costruzione comunitaria, che richiede la libera adesione della persona ad un processo costruttivo e organizzativo vivo, vitale e in funzione della vita della persona e della società.
Il principio vitale che lo anima non è una forma sostanziale come per gli enti di natura, ma una forma accidentale a valore essenziale[7], la quale non scaturisce dalla fantasia di qualche studioso o da qualche sistema di valori più o meno condiviso, ma emerge dallo studio della realtà storica stessa come tale, che contiene già in sé le logiche della propria costruzione, e che vanno “solo” esplicitate in modo coerente e univoco con lo strumento del realismo integrale, come si vedrà in seguito.
Per questo motivo la sua costruzione richiede più studio, più competenza, più tempo, più pazienza, affinché il suo esito sia vero, buono, bello, e quindi più solido e duraturo.
Vediamo intanto qualcuno di questi aspetti vitali di cui è necessario essere a conoscenza per costruire bene.
[1] Ideoprassi è un termine tecnico coniato da d. Tommaso Demaria per indicare le varie forme di prassi razionalizzate presenti nel mondo moderno, che non si limitano a restare nei libri ma che si incarno in precise forme sociali collettive organizzate: le due principali sono il laicismo relativista ed il socialismo materialista. Oggi le potremmo anche assimilare alle varie forme di Pensiero Unico in disputa tra loro che tentano di accaparrarsi il mondo.
[2] Demaria- Arnaboldi. Cristianesimo e realtà sociale, ed. Villa Sorriso, 1959, pp 59
[3] Per esempio in psicologia si chiama Teoria dell’autopercezione, per cui le persone hanno inferenze sui propri stati interni sulla base dell’osservazione del proprio comportamento. Lucia Manetti, Psicologia sociale, Carocci Editore Roma, 2002, pp. 163.
[4] Avrebbe torto chi dovesse pensare che il comunismo sia crollato per sempre con la fine dell’ URSS. Al più è crollato un modello, quello sovietico appunto. Il Tipo di razionalità è rimasta in vita non solo come cultura in molte parti del mondo ma anche come struttura politico-sociale rinnovata riscontrabile nel modello cinese che ancora oggi si definisce socialista.
[5] Demaria- Arnaboldi. Cristianesimo e realtà sociale, Ed. Villa Sorriso, 1959, pp 59
[6] Ivi 108
[7] “Organizzare vuol dire creare un organismo”. T. Demaria, Presupposti pastorali per la pastorale a l’apostolato, Varese, 1958, pp 41,42.