Buongiorno a tutti! La coerenza tra la Parola e la vita è il tema centrale del brano su cui ci fermeremo a meditare in questa trentunesima domenica del Tempo Ordinario. Gesù si rivolge agli scribi e farisei con parole dure perché prendano coscienza della propria ipocrisia. Oggi, le rivolge a noi, per svegliare le nostre coscienze. Ascoltiamo con fede la Parola.
Chi sono gli scribi e i farisei del tempo di Gesù? Rimanendo strettamente legati alle notizie che ci vengono fornite nel testo, possiamo iden
tificarli, innanzitutto, come coloro che «si sono seduti sulla cattedra di Mosè». Scribi e farisei non sono, come potrebbe apparire da una lettura superficiale del racconto evangelico, dei sinistri figuri che non avevano nient’altro di meglio da fare che andare a scovare eretici, mettendoli alla prova con domande a trabocchetto. Essi erano per lo più uomini pii, seriamente impegnati nell’esecuzione precisa e fedele della Legge data da Dio a Mosé sul Sinai.
C’è da dire però che la denuncia dei farisei e degli scribi da parte di Gesù non verte sul contenuto della loro dottrina teologica. Anzi, su questa sembrerebbe pronunciarsi positivamente quando afferma «fate quello che dicono». Non avrebbero alcun senso queste parole se gli insegnamenti dei farisei si discostassero in modo netto dai suoi. Ciò che Gesù sottolinea negativamente è invece il loro modo di fare, o meglio, il loro “NON FARE”. Il primo rimprovero che Gesù, infatti, muove loro è proprio questo: dicono e non fanno! “Non fanno”, non nel senso che restano immobili, quanto piuttosto nel senso che “non fanno” la volontà che Dio rivela nella sua Parola.
Se vogliamo essere più precisi, l’atteggiamento degli scribi e dei farisei deprecato da Gesù è quello dell’ipocrisia. Questo è il senso delle parole: «fanno ciò che fanno solo per essere guardati dagli uomini». Cosa fanno scribi e farisei per essere guardati? «Ampliano i loro filatteri – astucci fissati con strisce di cuoio sulla fronte o sull’avambraccio, contenenti parole importanti della Scrittura – e allungano le frange (in ebraico, tefillim)». Sono parole tremende se ascoltate con attenzione, che dicono la tentazione della vanagloria presente nel cuore umano. I filatteri, di cui parla Gesù, sono scatole contenenti la Parola di Dio. Gesù le vede diventare sempre più grandi; questo significa che teoricamente sono sempre più piene di Parola di Dio, ma una Parola che rimane fuori, non entra nel cuore. I tefillim, le frange del mantello del predicatore, Gesù le vede diventare sempre più lunghe. Tefillim, in ebraico, vuol dire anche preghiere. Le preghiere che diventano sempre più lunghe, vuol dire che diventano bei discorsi frangiosi e paludati, dotti e suasivi, che a volte servono per erigere un bel piedistallo a coloro che le hanno preparate, o proposte.
Le parole di rimprovero di Gesù verso gli scribi e i farisei dovrebbero portarci a riflettere e convincerci che il nostro agire può essere ritenuto autentico solo quando cerca il volto di Dio, il suo sguardo d’amore e di misericordia. Un punto del nostro esame di coscienza quotidiano dovrebbe essere sempre rivolto a conoscere nel profondo di noi stessi, nel segreto della nostra coscienza, per chi abbiamo lavorato nella nostra giornata, quale sguardo di compiacimento abbiamo cercato, se quello di Dio o quello degli uomini. Se abbiamo cercato quello degli uomini, non dobbiamo attendere niente da Dio, abbiamo già avuto la nostra ricompensa.
Signore, tu che hai detto: imparate da me la via della mitezza e dell’umiltà, aiutaci ad averla presente, per non perderci nella via dell’ipocrisia, della vanagloria, e di un’appartenenza a te, fatta di gesti religiosi, esteriori e vuoti. Cosi sia!