Buongiorno a tutti! La ventinovesima domenica del Tempo Ordinario ci presenta un detto di Gesù diventato proverbiale: «date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio». Normalmente chi lo cita intende affermare che a ciascuno deve essere riconosciuto ciò che gli spetta. Ma cosa voleva dire veramente Gesù con queste parole? Ascoltiamo il Vangelo e meditiamolo insieme.
Gesù si trova a Gerusalemme, nel Tempio, all’inizio dell’ultima settimana della sua vita. È circondato da tante persone che lo ascoltano con ammirazione, ma anche da tanti altri preoccupati del suo successo. Matteo, per informarci di questo, mette in evidenza un particolare curioso. Dice che erodiani e farisei si recano da Gesù per sottoporgli una questione. Oggi, i termini “erodiani” e “farisei” non ci dicono molto, ma al tempo di Gesù era come se esponenti politici della maggioranza e dell’opposizione, usando categorie del nostro tempo, si fossero finalmente messi d’accordo per fare qualcosa insieme. Al che dovremmo pensare che Gesù abbia compiuto un miracolo. In realtà, le cose stanno diversamente. Erodiani e farisei hanno paura di perdere voti, per cui devono mettere in moto la “macchina del fango”, screditare Gesù, per non perdere consenso. Per farla breve, nella strana accoppiata di farisei e erodiani si vede chiaramente un gruppo di persone attaccate al potere e disposte anche a mettere a morte il proprio avversario pur di non perderlo. La questione che sottopongono a Gesù è, oserei dire, diabolica. Egli deve rispondere con un “SI” o con un “NO” alla domanda se sia lecito pagare il tributo all’imperatore romano. Nel caso rispondesse “SI”, affermerebbe di essere dalla parte di Cesare; la gente sarebbe quindi autorizzata a ritenerlo un nemico del popolo, uno da tenere alla larga come i pubblicani. Nel caso contrario, se rispondesse di “NO”, sarebbe inevitabilmente considerato un nemico di Roma, un pericoloso ribelle, da denunciare all’autorità costituita. Gesù, apparentemente senza scampo, riesce a non farsi incastrare rivelando da un lato l’ipocrisia dei suoi interlocutori e dall’altro affermando un principio che possa aiutare, chi ha orecchie per intenderlo, a riflettere sulla qualità del proprio rapporto con Dio. Come fa? Chiede ai suoi interlocutori di mostrargli una moneta. Subito gli presentano un denaro, una moneta romana. Ma come? Un fariseo, fanatico assertore della purezza, rigido osservante delle leggi e dei precetti di Israele, si permette di trasgredire le prescrizioni cultuali? Dovrebbe sapere che le monete romane non si possono introdurre nel Tempio. Avrebbe dovuto convertirle in moneta locale passando prima dai cambiavalute. Con un semplice gesto, quello di mostrare una moneta che avevano con sè, i farisei stanno dichiarando, di fatto, quale sia il loro vero Dio: è Mammona, la ricchezza! Gesù continua domandando a chi appartenga l’immagine raffigurata nella moneta. La risposta arriva immediata: «Di Cesare!». A questo punto può concludere dicendo: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Esprimendosi in questo modo Gesù sta innanzitutto affermando la necessità di rendere, e non di pagare, all’imperatore ciò che gli appartiene. Il verbo “rendere” applicato al tributo salverebbe Gesù dall’accusa d’esserne un sostenitore. Il tributo, in pratica, sarebbe una semplice restituzione e non un atto dovuto. In secondo luogo, dicendo : «Rendete a Dio ciò che è di Dio», mette inevitabilmente chi lo ascolta nella condizione di domandarsi: Ma cosa è di Dio? Potremmo rispondere così: Di Dio è la Terra e quanto contiene; di Dio è ogni uomo creato a sua immagine e somiglianza; di Dio è il suo volto. Ma per rendere a Dio la Terra dobbiamo riconoscere che Lui è il Signore e noi i custodi; per rendere a Dio ogni uomo è necessario combattere la tentazione di dominare le persone che Lui stesso ci affida; per rendere a Dio il suo volto, infine, dobbiamo impegnarci a renderlo riconoscibile come “Padre di misericordia” e non come “giudice severo” o “ragioniere” che annota i crediti per il Cielo.
Signore, Dio di Misericordia, Padre amatissimo, aprici gli occhi perché possiamo riconoscere il dono della Terra, il dono del prossimo, il dono della tua paternità per vivere la “fraternità universale” con tutti e con tutto. Un caro saluto di vero cuore e buona domenica!