In te Speriamo – La Speranza dell’Unità

Il mese di gennaio ci ha presentato, nei suoi primi giorni, l’appendice del Tempo di Natale con due momenti epifanici: la manifestazione ai Magi e il battesimo di Gesù. Nel primo, siamo chiamati a prendere consapevolezza, sempre e di nuovo, che Gesù, il Salvatore, è un dono per tutti, senza eccezioni. Nel secondo, ci viene ricordato che Gesù, il Salvatore, può aiutarci a vivere in pienezza la vita, se riconosciamo e crediamo che Lui è il Figlio. Questi due messaggi ci mettono di fronte alla Speranza che il Signore ha per tutti gli uomini e le donne del mondo: che ciascuno si riconosca figlio nel Figlio e fratello o sorella di tutti.

Non credo sia un caso che la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani cada proprio in questo mese. L’unità, l’unione e la comunione non sono ideali astratti, ma le condizioni necessarie affinché l’essere umano possa corrispondere pienamente al progetto di Dio che, sin dall’origine del mondo, ci ricorda: Non è bene che l’uomo sia solo!

Siamo creati per l’unità, per vivere uniti, in comunione. Questa è la natura profonda dell’umanità, ma, oserei dire, anche di tutta la Creazione e, quindi, di tutta la realtà non umana. Contemplare, con lo stesso sguardo di San Francesco d’Assisi, il sole, le stelle, l’aria, l’acqua, le nuvole, il sereno, i fiori, i fili d’erba, e riconoscere in ognuna di queste creature fratelli e sorelle nostri, che appartengono a una famiglia di cui anche noi stessi facciamo parte, non è semplice poesia, ma il riconoscimento di un progetto di unità, di unione, di comunione che Dio ha inscritto nella natura profonda di ogni cosa.

La verità di questo progetto si manifesta ogni volta che tale unità o comunione viene negata. Ogni volta che distruggiamo o alteriamo l’equilibrio della natura, o che annientiamo, con le guerre, il terrorismo o la violenza, le relazioni di fiducia, di fraternità e di amicizia tra gli esseri umani, sostituiamo la Speranza di Dio con la disperazione del mondo. Dove c’è unità c’è speranza; dove regna il suo contrario, si fa spazio prepotentemente la disperazione.

Con questa premessa, proviamo ad entrare in un luogo da cui abbiamo sempre tanto da imparare: il Cenacolo. Qui Gesù, dopo aver lavato i piedi ai suoi amici, chiedendo loro di fare altrettanto, consegna parole cariche di messaggi fondamentali per la nostra vita cristiana. Fermiamoci a meditare un breve passaggio in cui il Maestro parla proprio dell’unità a cui i suoi discepoli devono sempre aspirare.
Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. Gv 17, 20-21

Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola I discepoli erano giunti a Gerusalemme dopo un lungo cammino, pieni di timore che si avverassero le profezie che il Maestro ripeteva loro con insistenza. Più volte, infatti, Gesù aveva annunciato che nella Città Santa, verso cui erano diretti, il Figlio dell’Uomo sarebbe stato accusato ingiustamente e messo a morte. Ogni volta tremavano alla sola idea che quanto detto potesse davvero realizzarsi. Eppure, una volta giunti a Gerusalemme, si sentirono sollevati. Anziché trovarsi di fronte al rifiuto e all’ostilità, furono accolti con entusiasmo dalla folla. Quest’ultima, soprattutto, acclamava il Maestro con titoli regali, alimentando nei discepoli la speranza che il progetto del Regno di Dio, di cui avevano tanto udito nei suoi insegnamenti, stesse finalmente per compiersi.

A metà della settimana, a poca distanza dalla celebrazione della Pasqua, Gesù consuma una cena che aveva ardentemente atteso. Tuttavia, quella cena si rivela diversa da ogni altra: i gesti e le parole del Maestro riportano nei cuori dei discepoli i timori che avevano momentaneamente accantonato. Vederlo chinarsi a lavare i loro piedi, come l’ultimo dei servi; ascoltarlo benedire il pane e il vino con parole misteriose e solenni – Questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue – e, infine, cogliere la sua inquietudine mentre rivela che uno di loro lo avrebbe tradito, crea un clima in cui la tensione si taglia a fette.

Gesù sa che ciò che sta per accadere metterà a dura prova i suoi amici. Lo dice apertamente con le parole del profeta Zaccaria: Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: “percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse”. Prega allora affinché la prova imminente trovi i suoi discepoli saldi nella fede, capaci di resistere alla tentazione di disperdersi di fronte alla croce o di perdere le ragioni e la forza per continuare nella missione. Nella preghiera Gesù si rivolge al Padre per i discepoli presenti e anche per i destinatari della loro azione evangelizzatrice. La fede con cui questi ultimi crederanno alle parole dei discepoli dipenderà dal modo in cui si presenteranno. Il punto è esattamente questo: comprendere bene in cosa consiste questa modalità che Gesù ha in mente!

perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
Il modo in cui i discepoli dovranno portare avanti la missione si riassume in una parola: UNITA’! Gesù prega affinché i discepoli che ha davanti, e tutti quelli che verranno, comprendano che solo nella misura in cui desiderano e si impegnano per essa, il mondo potrà credere in Dio e procedere nel futuro con speranza.

Qualche versetto prima, Gesù aveva chiesto, nella preghiera rivolta al Padre, che i suoi discepoli venissero custoditi dal Maligno. Il motivo di questa richiesta si comprende proprio alla luce dell’importanza dell’unità. Per essere più espliciti: se l’unità, ricercata e custodita, è il segno della presenza di Dio nel cuore di chi la cerca, la divisione, al contrario, è il segno della presenza del Maligno. Quest’ultimo semina isolamento, individualismo, egoismo, dominio, sfruttamento, ingordigia e indifferenza nel cuore dell’uomo.

Questo messaggio deve essere meditato a fondo dai discepoli di Gesù, se desiderano che la Verità del Vangelo diventi il cuore della loro vita e della loro missione. È come se Gesù ci dicesse che non possiamo essere veri evangelizzatori se viviamo immersi nei litigi, nelle incomprensioni e nelle fazioni, che inevitabilmente si presentano in tutte le esperienze comunitarie. E questo è facilmente riconoscibile come vero: come possiamo essere testimoni credibili dell’amore, della speranza, del perdono, della pace, se non ci impegniamo a viverli in prima persona, con chi cammina accanto a noi ogni giorno? Invece di diventare un ponte su cui le persone possano passare per avvicinarsi a Dio, rischiamo di diventare come un “ponte Morandi” della fede: un ponte che, crollando, impedisce la comunicazione, la comunione, la possibilità di andare oltre.

Gli errori che compromettono questo “ponte” sono le incomprensioni, le gelosie, le invidie, i rancori, le offese verbali. A questi si aggiunge l’atteggiamento di chi si sente migliore degli altri, vuole fare tutto da solo o pensa di avere sempre ragione. La lista potrebbe continuare all’infinito, e si potrebbe arrivare a dire che, se non in tutto, almeno in parte, queste fragilità ci appartengono. I problemi che sorgono nell’incontro con l’altro sono inevitabili: dove ci sono persone, ci sono problemi. Ma il discepolo di Gesù deve avere un atteggiamento che mostri quanto una vita fondata sul Vangelo sia diversa da quella che segue la logica del mondo. L’unità deve essere il suo distintivo, l’elemento che lo rende riconoscibile, perché è lo stile stesso di Gesù e del suo Vangelo.

È un’unità che i discepoli, dopo essersi dispersi, ritroveranno nel Cenacolo, dove era stata loro insegnata dal Maestro. Ciò che Gesù aveva detto loro ora diventa un’esperienza concreta, che i discepoli dovranno interiorizzare per rimetterla al centro della missione e in tutti i contesti di vita. Sarà il Risorto, infatti, ferito dal tradimento dei suoi amici, a ricucire i rapporti, a perdonare e a dire Pace a coloro che, presi dalla paura, lo avevano abbandonato. Se crediamo che lo Spirito di Cristo riversi nei cuori dei discepoli la sua Carità, allora – non per virtù nostra, ma grazie alla forza che viene da Dio – potremo anche noi amare come Lui ci ha amati.

Il santo Papa Giovanni Paolo II ripeteva spesso ai religiosi un insegnamento che dovrebbe valere per tutte le vocazioni: l’impegno a costruire comunità fraterne, in cui l’unità e la comunione non siano solo parole, ma realtà condivisa, non è soltanto una preparazione alla missione, bensì parte integrante di essa. Questo perché, come egli stesso affermava, «la comunione fraterna, in quanto tale, è già apostolato». Essere in missione come comunità che, giorno dopo giorno, costruiscono la fraternità nella continua ricerca della volontà di Dio significa testimoniare che, seguendo il Signore Gesù, è possibile vivere la convivenza umana in un modo nuovo e autenticamente umanizzante. La speranza, dunque, si radica nell’unità, nell’unione, nella comunione, nella fraternità!
I discepoli lo imparano nel Cenacolo, nel giorno in cui il loro Maestro li saluta, e lo comprendono ancor più chiaramente nel giorno in cui, risorto, promette di essere con loro sempre, tutti i giorni, fino alla fine. La sua presenza, il suo sostegno permanente, il dono della sua comunione sono il fondamento della Speranza. Solo restando uniti a Lui e tra di noi possiamo attraversare la notte e sperare di entrare nella luce di un nuovo giorno!

INCONTRIAMO GESÙ VIVO
• Invoco lo Spirito Santo. Nel silenzio, entro nel Cenacolo per partecipare a una Cena unica, specialissima. Guardo il volto dei discepoli e percepisco la loro tensione, il loro timore davanti ai gesti che Gesù compie e alle parole che li accompagnano. “Questo è il mio corpo”, dice Gesù mentre condivide il pane. “Questo è il mio sangue”, aggiunge mentre porge la coppa con il vino. Gesù, ti stai offrendo per me. Mi stai dando la vita e chiedi anche a me di fare lo stesso: “Come ho fatto io, fate anche voi!”. Il dono è bello in sé; nei volti di tutti vedo la gioia che nasce dall’accoglienza dell’amore che esso contiene. Signore, mi stai chiedendo, ci stai chiedendo di fare della nostra vita un dono d’amore, di essere capaci di donarci senza riserve, fino alla fine, per la vita del mondo. Ma… ne sarò capace? Lo sono?

• La paura di fronte alla croce. Questa paura si fa viva quando sento citare il profeta che parla del pastore percosso e delle pecore disperse. Gesù, hai ragione: ho paura di affrontare l’assenza di qualcuno che mi guidi, che mi indichi cosa fare, dove andare, cosa sia giusto per me se voglio vivere una vita piena. Ho paura che, senza di Te, camminando da solo/a, possa smarrirmi. La notte mi fa paura. Mi appare come un presagio di cose con cui non voglio fare i conti: la solitudine, la fragilità, la precarietà. Nel cuore si insinua un sentimento di poca fiducia e speranza nel futuro. Ho come la sensazione che questa notte, in cui mi trovo, non abbia fine, che non si apra alla novità e alla luce di un nuovo giorno.

• Ma Tu mi stupisci sempre, Signore! Nel mezzo della Cena, mentre pronunzi le parole del tuo commiato, sento il cuore riscaldarsi quando parli del dono del tuo Spirito. Tu sarai con me, con noi, sempre, tutti i giorni, fino alla fine. Anche se dovessimo camminare in una valle oscura, non temeremo alcun male, perché Tu sei con noi. Tu, Signore, sei la mia speranza, la nostra speranza: ogni volta che sperimentiamo l’unità, la comunione con Te e tra di noi, Tu ti rendi visibile, concreto, presente.

Grazie, Signore, per il dono della tua presenza nell’Eucaristia, nella tua Parola, nella comunità che si unisce nel tuo nome e nel “sacramento” del fratello e della sorella. Fa’ che possiamo camminare uniti a Te e a tutti, per essere testimoni credibili della tua Speranza. Così sia!

Don Giuseppe Tilocca