Dal 20 al 23 settembre 2018 al Centro Nazareth di Roma si è svolto un incontro di formazione pastorale dal titolo: “Desidero una Chiesa povera per i poveri” – La povertà come stile di vita evangelica e spinta alla condivisione”. Saper riconoscere in tutte le nostre povertà la presenza viva di Gesù è un tema particolarmente caro al Movimento FAC, che dai suoi inizi, come “Fraterno Aiuto Cristiano”, ha proposto alle comunità parrocchiali un impegno a fatti di rieducazione all’amore del Vangelo. Nelle pagine che seguono riportiamo la sintesi di alcuni interventi che hanno aiutato i partecipanti ad accostarsi più evangelicamente e quindi più concretamente al tema della povertà, così come Papa Francesco ci esorta. Alcuni testi integrali sono disponibili sul nostro sito www.movimentofac.it
“BEATI I POVERI” – Quale beatitudine per quale povertà
don Luigi Maria Epicoco*
Ciò che povertà non è
La povertà per noi non è semplicemente una condizione sociale. Quando parliamo di poveri non parliamo solo di poveri di beni materiali. La povertà riguarda tutte le persone perché ci si accorge di essere poveri quando ci si scontra con i propri limiti, con le proprie incapacità a poter fare tutto. Quando ci accorgiamo che le nostre possibilità sono limitate e che la vita è sempre più grande delle nostre possibilità, allora cominciamo a comprendere che siamo tutti dei poveracci. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci ascolti, di qualcuno che ci salvi, di qualcuno che ci prenda sul serio. Abbiamo bisogno di essere amati!
Il problema serio è che noi viviamo in una narrazione negativa della povertà, perché la mentalità del mondo ci fa credere che non è una cosa buona aver bisogno, le persone libere non devono aver bisogno; siamo convinti che la libertà significa emanciparsi dai propri bisogni. Finché rimaniamo convinti che la libertà è non avere bisogno, passiamo tutta la nostra vita a fare guerra ai nostri bisogni.
Cos’è veramente la libertà?
Quand’è che noi riconsegniamo la libertà a qualcuno? Quando gli abbiamo risolto tutti i suoi bisogni? No! Siamo liberi quando ci riconciliamo con i nostri bisogni e riconciliarsi significa accettarli: una persona che accetta veramente di avere bisogno è libera. È libera perché non vive più nell’ansia di voler risolvere i suoi bisogni, non vive più nella dittatura dei suoi bisogni, ma allo stesso tempo non li nega, non li allontana. È facile voler bene a qualcuno che ha qualcosa da darti. Sei disposto ad amare anche un figlio che solitamente si approccia a te con ingratitudine e che non si accorge del bene che gli stai facendo, anzi considera il bene che fai un diritto? Sei disposto a voler bene ad una persona anche se non se ne accorge?
Quando il Papa ci invita a tornare alla povertà e sogna una Chiesa povera per i poveri, non sta pensando semplicemente ed una questione materiale. Tutta la nostra vita è vissuta all’insegna di una mancanza. Per quanto possano capitare cose bellissime all’interno della nostra esistenza, essa ha come caratteristica fondamentale una insoddisfazione di fondo: non siamo mai totalmente e veramente felici. Questo per un motivo molto semplice e che ha una caduta esistenziale tremenda: casa nostra non è qui, questa vita non è la vita, noi non siamo fatti per questa vita, per noi questo è un passaggio. Allora proprio perché è un passaggio non ci corrisponde pienamente, c’è sempre qualcosa che ci manca. Pretendere che questa vita risponda a tutta quella definitività che il nostro cuore cerca è sbagliato. Dovremmo accettare che la vita non è mai così come la desideriamo, ma non per questo è meno bella e meno vera. La vita è bella e vera nonostante a volte si mostri a noi con una contraddizione estrema, tremenda. La vita eterna non è la vita “dopo”, non è la vita cronologicamente dopo la morte. In realtà noi ci troviamo già nella vita eterna.
È una vita al fondo di quella che stiamo vivendo, allo stesso modo del bambino che è nel grembo della madre: già esiste, già si trova nella storia. Quando nasce cambia la modalità con cui esiste nel mondo: prima nel grembo, adesso è fuori. Questo ci spinge ad impegnarci compiutamente in questo istante, in questo presente, perché comprendiamo che l’eternità ha a che fare con questo presente. Non possiamo disinteressarci al nostro mondo, all’istante che stiamo vivendo, al pezzo di storia che ci è stato affidato.
I mendicanti del Vangelo
Il Vangelo è pieno di mendicanti, anche quando questi mendicanti sono ricchi e ragguardevoli, perché la mendicanza nel Vangelo non è solo quella di uno che ha fame. Pensiamo a Giairo, capo della sinagoga. Dov’è che incontra Cristo? Non lo incontra nel suo ruolo, nei suoi beni, nella sua posizione sociale, lo incontra nella disperazione di padre che non vuole perdere la figlia e che ha fatto il possibile per salvarle la vita. Ma si è accorto che il suo possibile non sta salvando la vita della figlia e che quindi deve cercare qualcosa di più grande del suo possibile: cerca Gesù. Mendicante, nello stesso episodio del Vangelo, è la donna che ha perso tutti i suoi averi per guarire da una malattia che la tormenta da dodici anni. In una condizione di totale povertà, incontra Gesù e lo incontra perché Gesù la vuole incontrare. Lei voleva contentarsi semplicemente di guarire: si fa spazio tra la folla, tenta di toccarlo; fa un ragionamento che appare di una fede estrema: “Se soltanto riuscirò a toccare il lembo del suo mantello, certamente sarò guarita”. E accade così: allunga la mano, sfiora la veste di Gesù e guarisce!
Se nell’esperienza del dolore che vivi, pensi che la soluzione sia semplicemente la guarigione, ancora non hai capito fino in fondo la logica di Gesù: Gesù vuole riempire di significato quello che stai vivendo, vuole incontrarti in quello che stai vivendo, non vuole semplicemente risolverti un problema. Se incontriamo Gesù al fondo delle nostre mancanze, delle nostre disperazioni, del nostro bisogno e della nostra povertà, allora la prima vera e grande cosa che dobbiamo fare è smettere di scappare da ciò che ci rende poveri e dare un nome alla nostra mancanza. Che cosa mi manca, cosa mi toglie speranza e significato? Non avere paura di questo, perché Gesù vuole incontrarci in questo. Immaginate quando questa condizione di povertà e di mancanza tocca i nostri peccati. Quando accetti di essere povero non ti meravigli dei tuoi peccati. Li accogli e sai che la cosa più importante nell’esperienza del peccato non è la misericordia che viene e ti dice “ti perdono”, ma la misericordia che viene e ti dice che Gesù ha già vinto tutti i peccati, anche quelli che hai fatto e farai.
Cosa devo fare per essere felice?
Altro mendicante ricco nel vangelo è il giovane ricco. Sappiamo, dallo svolgimento di quello che ci racconta il Vangelo, che il ragazzo in questione sta cercando Gesù e che umanamente parlando non ha bisogno di Lui: possiede beni ed è un ragazzo religioso. Però si è accorto che c’è qualcosa che gli manca. Mentre Gesù passa, gli va incontro, si getta in ginocchio (gesto di mendicanza totale) e gli dice: “Maestro buono cosa devo fare per avere la vita eterna?” Cosa devo fare per essere felice?
Se noi arrivassimo alla condizione di questo ragazzo, avremmo svoltato del 70% dentro la nostra vita, perché noi per paura che la felicità non esista o per paura che nessuno accolga questa domanda, solitamente non ce la facciamo. Poiché abbiamo paura del fallimento, per proteggerci non ci mettiamo mai in gioco. Questo ragazzo è sano perché è nella condizione di poter domandare qualcosa, di domandare di essere felice ed è estremamente convinto che Gesù gli può dire che cosa deve aggiungere a quello che egli già fa. Lo chiama “Maestro” (maestro è uno che insegna qualcosa, una dottrina ad esempio). Non lo sta considerando Dio; Gesù è anche Maestro, ma è soprattutto il Figlio di Dio. Gesù gli dice: vuoi essere felice? Fa’ il tuo possibile! Gli domanda di seguire i comandamenti. Questo ragazzo li segue già, quindi ha un metodo, una condizione umana, sociale e materiale buona. Però gli manca qualcosa. Provo a tradurlo in maniera contemporanea: vado a Messa tutte le domeniche, quando posso vado a qualche incontro di formazione, prego la mattina e la sera, ho un lavoro, ho un stipendio, ho una casa, ho una macchina, ma non sono felice.
Cosa mi manca?
Gesù dice al ragazzo: “ti manca una cosa sola, devi tornare a casa, vendere tutto quello che hai, darlo ai poveri e poi seguimi”. Questo ragazzo “tornò a casa triste, perché aveva molti beni”. Passaggio importantissimo: questo ragazzo avverte di essere infelice e ci insegna che non va mai elusa l’infelicità che proviamo. Ma è convinto che lo potrà rendere felice solo quello che ha e che fa. Questa è la menzogna! Non è mai qualcosa che rende felici, ma qualcuno!
Quando puoi dire di avere incontrato davvero qualcuno che ti rende felice? Quando hai trovato qualcuno per cui daresti la vita. Ecco il significato di dare via tutto. Quando hai trovato qualcuno per cui daresti la vita, cominci a capire qualcosa della felicità. Noi non soccorriamo il povero quando soccorriamo la sua fame, ma quando quella persona, che vive la povertà, incontra qualcuno: questa è la più alta forma di carità. Il nostro rischio è quello di non capire questa povertà, di ignorarla e di far diventare invisibili i poveri. Solitamente li consideriamo invisibili perché non vogliamo affrontare la nostra povertà, ignoriamo chi soffre perché non vogliamo affrontare il problema: l’altro ci fa sempre da specchio. L’indifferenza che attraversa le nostre società è sì frutto di egoismo, ma è un egoismo difensivo: ignoriamo che ci siano dei problemi perché non vogliamo affrontarli noi. Per questo finché noi non facciamo pace con la nostra povertà, non possiamo essere di alcun aiuto a nessuno.
“Beati i poveri…”
Questa è la bellissima esperienza della beatitudine che incontriamo nella povertà! Il Signore ci è venuto incontro, ha attraversato la nostra povertà: “Beati i poveri in spirito, perche di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beato chi è nel pianto …”. Sono una serie di beatitudini quasi contraddittorie. Perché chi sperimenta di essere mancante dovrebbe essere beato? Perché in quello il Signore ha trovato un modo di incontrarci.
Gesù si mette sulla croce per dirci che quello è il luogo in cui lo incontriamo. Don Tonino Bello diceva che Gesù è confitto alle spalle delle nostre croci: dall’altro lato della croce c’è Lui. Confitto anche Lui nelle cose che fanno male a noi, soffre delle cose che ci fanno soffrire, sa che cos’è l’angoscia che proviamo, l’ha sperimentata Lui dentro la sua vita. Si è fatto solidale con noi, è diventato credibile non perché ci ha spiegato la croce, ma perché è sceso dentro le nostre croci, le abita. È la presenza che fa la differenza.
Giacomo nel capitolo 2 della sua Lettera ci dice che Dio non è neutrale, ha smesso di esserlo da quando Gesù è venuto nel mondo. Ha fatto una scelta preferenziale: si è schierato dalla parte del povero. Se qualcuno ci salva la vita, questi sono i poveri; nessuno di noi entrerà dal portone principale. Se entreremo è perché qualche povero aprirà una finestra e ci tirerà su.
*(Sintesi di una trascrizione autorizzata ma non rivista dall’autore)