Buongiorno a tutti! Il Vangelo della sesta domenica del Tempo Ordinario ci ripropone le Beatitudini nella versione dell’evangelista Luca. Quando pensiamo alle “beatitudini” abbiamo in mente le altre, quelle che troviamo all’inizio del discorso della Montagna, nel capitolo quinto del Vangelo secondo Matteo. Lì, Gesù dice solamente “beati”, qui, oltre a dire “beati” aggiunge quattro “guai a voi”, che suonano come degli ammonimenti, come se il Maestro dicesse ai discepoli: «Difficilmente sarete beati se a causa della vostra distrazione o superficialità non farete spazio in voi alle cose di cui vi sto avvertendo». Mettiamoci allora in ascolto con il cuore e la mente bene aperti.
Davanti a queste parole di Gesù dovremmo sempre sentirci spiazzati, provocati, messi in crisi. Eppure, forse perché le conosciamo bene, quasi a memoria, ci scivolano addosso senza toccarci, senza turbarci più di tanto. Gesù dice che sono beati i poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati. Non so cosa ne pensiate, ma non suona strano, lontano dalla nostra esperienza, che possa essere felice chi vive nella povertà, nella fame, nel pianto, nella persecuzione? Chi si trova in queste situazioni difficilmente, per quanto possiamo vedere, può dirsi beato, felice. Cosa voleva dire Gesù? Qual è il senso di queste Beatitudini? Per rispondere, è necessario un rapido confronto tra le Beatitudini di Luca e quelle della versione dell’evangelista Matteo. Se avete fatto attenzione, avrete notato che mentre in Luca Gesù dice, rivolto ai discepoli: “Beati voi poveri” e “Beati gli affamati”, in Matteo afferma che sono beati non semplicemente i poveri, ma i “poveri in spirito”, o, tradotto diversamente, coloro che hanno “lo spirito dei poveri”. Nella beatitudine degli affamati, a cui sono associati gli assetati, la fame e la sete non sono di cibo materiale, ma di giustizia: “Beati – leggiamo nel Vangelo secondo Matteo – coloro che hanno fame e sete della giustizia”. Queste differenze ci aiutano a comprendere che Gesù non sta beatificando delle categorie sociali – quella dei poveri, degli affamati, degli afflitti e dei perseguitati. Nessuno, infatti, neanche Gesù, può dire che si vive felici nell’indigenza, nella fame, nella sofferenza e nell’ingiustizia. Anzi, tutte queste realtà devono essere superate perché la vita sia beata, vissuta in pienezza.
E allora, perché dice che sono beati i poveri, gli affamati, gli afflitti e i perseguitati? Perché rappresentano, in modo provocatorio, il contrario di ciò che l’uomo cerca per sentirsi beato: la ricchezza, la pancia piena, il divertimento a tutti i costi, l’essere sempre al centro dell’attenzione. Di tutte queste cose, Gesù dice infatti: “Guai a voi”. Guardatevene, state bene attenti a non cercarle come fonte di felicità, perché andrete alla ricerca di una gioia effimera, evanescente, inconsistente, fatta solo di bollicine. Al contrario, i poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati sanno che alla loro vita manca qualcosa. Vivono ogni giorno nella consapevolezza di avere continuamente bisogno di un aiuto che proviene dall’Alto e dall’altro. Senza l’Altro – con la “A” maiuscola – e senza l’altro – con la “a” minuscola – sanno che non potrebbero vivere. La vera beatitudine, quindi, appartiene a coloro che costruiscono ogni giorno relazioni di amicizia, di amore gratuito, di benevolenza. Un padre gesuita a cui ero molto legato negli anni del seminario diceva sempre una cosa che non ho mai dimenticato: “Fare il bene fa bene e fa buoni”. Ed è verissimo! Puoi avere tanti soldi, la pancia piena di ogni delizia possibile, occasioni di divertimento e successo, ma se sei senza amici, senza persone da amare, senza qualcuno a cui voler bene, non potrai mai dire di aver sperimentato, nemmeno per un attimo, cosa sia la vera beatitudine.
Aiutaci, Signore, a comprendere che la vera Beatitudine consiste nel vivere in pienezza la relazione di amore e di amicizia con Te e con le persone che accompagnano la nostra quotidianità. Buona domenica di vero cuore a tutti!