Buongiorno a tutti. A partire da questa domenica, e per cinque domeniche consecutive, la liturgia ci mette di fronte, un po’ alla volta, il capitolo sesto del Vangelo secondo Giovanni, nel quale Gesù presenta se stesso come “pane di vita”. Questa auto-rivelazione di Gesù è preceduta da un miracolo, o meglio, da un gesto profetico, a cui le comunità cristiane delle origini erano particolarmente legate: la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Riascoltiamolo con fede.
Una grande moltitudine di persone segue Gesù spinta dalle necessità. I molti segni compiuti sui malati avevano, infatti, suscitato stupore e soprattutto aspettative. È sempre così. Se qualcuno si presume possa dare risposte positive alle tante preoccupazioni che appesantiscono il cuore e tolgono il respiro, ci si aggrappa a lui come al salvagente, per la paura di affogare.
Gesù osserva la folla in attesa! Ed ecco che prende l’iniziativa di compiere un gesto che manifesti l’amore del Padre. Chiama a sé un discepolo, Filippo, per chiedergli se è possibile acquistare il necessario per sfamare tutti. E Filippo, in tutta risposta, fa esattamente quello che avremmo fatto noi al suo posto: valuta le risorse del magazzino, i soldi nel borsellino, le persone disponibili, le ore da dedicare al servizio, insomma, cerca di capire se l’iniziativa si può realizzare oppure no. La risposta giunge immediata: sia le risorse finanziarie di cui dispongono nella cassa – duecento denari – che i mezzi materiali presenti nel magazzino, – cinque pani d’orzo e i due pesci – sarebbero insufficienti per sfamare tutti i presenti. Allora Gesù, con autorità, chiede ai discepoli di far sedere la folla su quell’erba verde che ricorda i pascoli dove Dio, il Pastore, conduce le sue pecore (cfr Sal 22), affinché abbiano cibo abbondante. Poi davanti a tutti compie il gesto: «prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che erano adagiati sull’erba, e lo stesso fece con i pesciolini, secondo il loro bisogno». Le azioni di Gesù anticipano quelle dell’istituzione eucaristica nell’ultima cena. È lui, il Cristo Signore, che dona quel pane che sfama la totalità del mondo. E proprio in virtù di questa azione che Gesù potrà dire – lo sentiremo nelle prossime domeniche: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6, 51). Nel gesto di Gesù vi è certamente il venire incontro al bisogno umano ma anche e soprattutto la manifestazione dell’amore gratuito e sovrabbondante di Dio, che non chiede contraccambio, ma solo accoglienza e ringraziamento.
L’esito del segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci è però un malinteso. La numerosa folla che ne ha beneficiato interpreta Gesù è ciò che ha fatto secondo le proprie aspettative. A chi non farebbe piacere avere a propria totale disposizione un efficace guaritore e risolutore delle innumerevoli necessità umane? È significativo che Giovanni annoti che «volevano impadronirsi di lui per farlo re», volevano, detto in altri termini, ridurlo a un oggetto, ad un idolo plasmato dai loro desideri, volevano un Messia con un programma mondano. Ma Gesù si rifiuta perché sa che quel potere che gli vogliono dare non è il vero potere conferitogli dal Padre. Il pane che veramente sazia è l’amore che si realizza con l’offerta della vita. Nella versione del miracolo presentataci dall’evangelista Luca, a differenza di Giovanni in cui Gesù compie da solo il prodigio, il rabbi di Nazareth chiede a discepoli che ha accanto, nel momento della distribuzione: «date voi stessi da mangiare». Parole che possono intendersi in due modi. La prima: distribuite voi il pane e i pesci a tutti. La seconda. Date voi stessi da mangiare, nel senso di: offrite voi, la vostra vita, per sfamare l’umanità. In fondo è vero. Pensiamoci un po’: nel mondo ci sarebbe cibo per tutti, nessuno morirebbe di fame, se non chiudessimo il cuore alle necessità dell’altro, se ci adoperassimo, con tutto noi stessi, perché a nessuno manchi il necessario.
Signore, trasformaci in pane buono per venire incontro alla fame d’amore del mondo. Buona domenica di vero cuore a tutti!