Buongiorno a tutti! “Nessuno è profeta nella sua patria”, dice Gesù nel Vangelo di questa domenica. Il contenuto di questo detto, divenuto proverbiale, è considerato vero dagli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Ma perché nessuno è profeta in patria? Perché i compaesani del rabbi di Nazareth hanno delle riserve nei suoi confronti? Riflettiamoci insieme dopo aver ascoltato la Parola.
Gli abitanti Nazareth presumono di conoscere Gesù: l’hanno visto crescere, lavorare, andarsene via di casa; ne conoscono la famiglia. Ma in realtà nulla hanno colto della sua verità profonda: non sanno andare oltre il “sangue e la carne”, si fermano all’esteriorità, al dato anagrafico. Lo “stupore” che provano nel sentirlo insegnare di sabato nella sinagoga, anziché evolvere in meraviglia e divenire porta di accesso alla fede, sbocca nel vicolo cieco della perplessità, dell’incredulità. «Da dove gli vengono queste cose?», si domandano. La sapienza delle parole e i prodigi di cui hanno avuto notizia dovrebbero indurli a pensare che Gesù è un uomo di Dio; ma la pretesa di conoscere tutto di lui costituisce una valida ragione per non riconoscere chi egli sia veramente. Gesù è per loro troppo ordinario, troppo umano. «Non è costui il falegname?», si chiedono, con una di quelle domande che non attendono risposta perché si ritiene di averla già.
C’è un particolare che vorrei sottolineare. Marco, al contrario dell’evangelista Matteo, dice che Gesù È UN FALEGNAME e non che È IL FIGLIO DI UN FALEGNAME. Il termine greco con cui è indicata la qualifica professionale di Gesù è “tekton”. Cosa di preciso voglia dire non si sa. Probabilmente, questo termine veniva utilizzato per indicare chi lavorava come carpentiere in qualche impresa edìle di Tiberiade o Cafarnao, città più sviluppate economicamente rispetto alla microscopica Nazareth. Per Marco, Gesù è quindi uno che conosce direttamente il lavoro pratico, manuale. Il Figlio di Dio, da lui riconosciuto fin dall’inizio del suo vangelo, è uno che sa bene come si fanno le cose usando le mani, perché lui per primo si è immerso nel lavoro pratico. Ma è proprio questo, a mio giudizio, che crea nella considerazione della gente un certo pregiudizio e una certa incredulità. Non avviene così anche oggi nei nostri rapporti umani? Nella mentalità corrente esistono persone di serie A e persone di serie B. Persone che hanno cultura, titoli, che vengono circondate di onore e considerazione, e persone di più umili condizioni e mezzi, che non meritano di averne. Un tempo, nelle famiglie, si sognava il figlio ingegnere, medico, per avere un riscatto sociale, e si vedeva l’operaio come uno collocato nel punto più basso della società. Ora, grazie a Dio, questa distinzione esiste un po’ meno, ma la mentalità che divide l’umanità in persone di serie A e di serie B continua ancora a resistere. Gesù è considerato dai suoi compaesani uno che appartiene alla serie B. Come si permette – sembra che dicano in cuor loro – di presentarsi come un rabbi, in giro per la Palestina? Non ha i titoli. Non è figlio di rabbini. È un povero carpentiere di cui tutti conoscono le umili origini. Sono convinti di sapere tutto della sua storia personale e familiare.
Purtroppo è così: quando si è convinti di sapere tutto di qualcuno o di qualcosa, non c’è spazio per un’approfondimento della conoscenza. Quando si appiccica sulla testa delle persone un’etichetta, quella rimane indelebilmente impressa, per i secoli dei secoli. Le persone sono però più di quello che si pensa di loro. Sono un mistero, cioè una realtà che non si finisce mai di conoscere. Questo vale per tutti, e a maggior ragione per il Signore. Conosciamo Gesù? Cosa sappiamo di Lui? È solo ammettendo di non sapere tutto, di sapere solo qualcosa, che è possibile assecondare la spinta interiore a progredire nella conoscenza del mistero della sua persona.
Signore, aiutaci a combattere le immagini che ci siamo fatti di te. Smontale, per imparare sempre di nuovo, attraverso l’ascolto della tua Parola, a conoscerti sempre più in profondità. Buona domenica di vero cuore a tutti!