Buongiorno a tutti. Oggi, solennità del Corpo e del Sangue del Signore, la liturgia ci chiede di sostare in contemplazione dell’Eucaristia entrando nuovamente nel Cenacolo nel momento in cui Gesù la istituisce. Conosciamo bene questo racconto. Riascoltiamolo con fede, come se fosse la prima volta.
Il Maestro chiede: Dov’è la mia stanza? Domanda interessante che riguarda il luogo fisico in cui Gesù, nell’ultima cena condivisa con i suoi amici, istituisce l’Eucaristia. C’è un luogo in cui il Signore, al di fuori del frastuono delle strade e delle piazze, desidera sostare per nutrire la vita di coloro che lo seguono. Un luogo che non può essere oggi identificato semplicemente con una chiesa o un tabernacolo. Questo è il rischio che si corre nel restringere la presenza reale del Signore solo al contesto liturgico-sacramentale. Certo, l’Eucaristia celebrata e adorata è la fonte e il culmine della vita cristiana, come ci ricorda il Concilio, ma deve necessariamente prolungarsi nell’esistenza personale del discepolo, al punto da rendere la sua stessa vita EUCARISTICA. Il luogo, la stanza, in cui il nostro Signore e Maestro vuole ripetere le parole e i gesti dell’ultima cena è, quindi, la nostra stessa vita.
I verbi di una vita eucaristica sono gli stessi che compaiono nel racconto dell’Istituzione del sacramentum caritatis. Il verbo PRENDERE – Gesù prese il pane, prese il calice – è il primo. Il prendere di Gesù è un prendere con la mano aperta verso l’alto, pronta ad accogliere il dono. Non è il prendere rapace che molto spesso ci contraddistigue quando tendiamo ad impossessarci dell’altro, della natura, della nostra stessa esistenza.
Gesù accoglie il dono e RENDE GRAZIE. Questo è il secondo verbo. Riconoscere che tutto è dono comporta necessariamente, nello stesso tempo, la capacità di riconoscere Colui che sta all’origine del dono. Da bambini ci veniva insegnato, ogni qualvolta qualcuno ci faceva dono di qualcosa, di dire subito GRAZIE!! Una parola semplice, che purtroppo, man mano che si diventa grandi, tende a cadere in disuso, a finire nel dimenticatoio per via del fatto che si inizia a dare tutto per scontato e ovvio. Pensateci un attimo: quanti ringraziano per l’aria? Eppure provate a stare bloccati per un’ora in un ascensore e sentire un po’ alla volta l’aria che viene a mancare. A quel punto inizierete ad invocarla. Magari a pregare che qualcuno ve la faccia respirare nuovamente. Siamo fatti così: ci accorgiamo delle cose e della loro preziosità solo quando ci vengono a mancare. Comprendere che tutto è dono non può NON essere associato, come fa Gesù nell’ultima cena, al rendimento di grazie.
Dopo aver reso grazie Gesù “spezza il pane”. SPEZZARE è il verbo della condivisione. I doni che riempiono la nostra vita acquistano il loro vero significato solo quando li dividiamo con gli altri. Il pane diviso perché tutti possano sfamarsi è meglio del pane capace di nutrire pochi privilegiati. Entrare nella logica anti-economica del perdere per guadagnare, del dare per avere, significa comprendere il gesto d’amore di Gesù che dona la vita, che si fa spezzare, perché tutti si salvino. Il pane spezzato e il sangue versato sono Cristo che offre con amore e senza risparmio se stesso. Sono il segno dell’amore più grande, quello che si realizza con l’offerta di tutta la vita. Per questo il quarto verbo è DONARE, DARE. Gesù dopo aver spezzato il pane e versato il vino nel calice, lo dona. Lo dona ai discepoli con totale gratuità. Dal dono di sé Gesù non esclude nessuno, neanche Giuda che lo tradirà, Pietro che lo rinnegherà, tutti che lo abbandoneranno. Gesù non offre se stesso solo a chi se lo merita, ma a tutti senza distinzione alcuna di persona.
Prendere, benedire, spezzare, donare. Aiutaci Signore a rendere eucaristica la nostra vita, facendo nostri, INCARNANDO, questi verbi che hai immortalato nel momento in cui hai istituito il sacramento dell’Amore, il sacramento dell’Eucaristia. Buona domenica di Corpus Domini a tutti.