Buongiorno a tutti! Come ogni anno, nella domenica delle Palme il Vangelo che viene proclamato coralmente nella messa è il racconto integrale degli ultimi momenti della vita di Gesù di Nazareth, dall’ultima cena sino alla sepoltura. Fermarci a commentarlo sarebbe impossibile data la sua insondabile ricchezza. C’è però un’altra pagina evangelica che risuona in questa domenica ed è quella che racconta l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme. Una pagina che siamo chiamati a rivivere in prima persona agitando le palme e acclamando il re, il figlio di Davide, come le folle di duemila anni fa. Riascoltiamola con il cuore e la mente aperti.
I primi dieci versetti del capitolo undicesimo del Vangelo secondo Marco, in cui è contenuto il racconto dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme nella “domenica delle palme”, insiste per ben quattro volte sul termine “puledro”. A cosa si riferisce? Ma soprattutto: perché Gesù ne scelse uno per un momento così importante? La spiegazione più probabile è che egli avesse in cuore la speranza che tutte le persone presenti a Gerusalemme riuscissero cogliere nel “puledro” su cui faveva il suo ingresso a Gerusalemme il collegamento con la profezia di Zaccaria sul Messia. Secondo il profeta, infatti, Gerusalemme avrebbe dovuto gioire nel vedere il suo re di giustizia e di pace, il Messia, andargli incontro cavalcando un “asino, un puledro figlio d’asina”. Il giorno del suo ingresso trionfale nella città santa Gesù aveva dunque una predica importantissima da rivolgere alla moltitudine di pellegrini convenuti a Gerusalemme per la Pasqua sul tipo di Messia che lui presentava, ma non la fa direttamente, la affida ad un somarello.
Ma fu una predica efficace? La gente capì il messaggio? Io mi immagino i volti degli israeliti nel vederlo comparire. Siamo talmente abituati a pensarli pieni di soddisfazione per l’attesa finalmente esaudita, che ci viene difficile pensare che potessero essere al contrario un po’ disorientati nel vedere la calvalcatura scelta dal novello re dei giudei. Di certo, gli israeliti che attendevano il Messia avrebbero preferito che cavalcasse un cavallo bianco, circondato da un esercito, oppure, come profetizzava Daniele, che discendesse dall’alto sopra le nubi. Israele attendeva un Messia potente, capace di liberare il popolo dal dominio dei romani e restaurare la gloria della monarchia iniziata dal re Davide. È vero, la gente cantava: «Osanna al figlio di Davide» all’arrivo di Gesù, agitava le palme, ma rendeva questo omaggio più al Messia che aveva nella testa che a quello che si trovava di fronte. Gesù sapeva benissimo che la folla che lo acclamava avrebbe avuto qualche difficoltà a comprenderlo. Un particolare lo rivela nel momento in cui invia i discepoli a prelevare l’asinello. Nel dare loro le indicazioni egli precisava testualmente: «troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito». Le parole del Maestro non intendono dire ciò che appare più ovvio, ovvero che il somarello non era stato mai cavalcato da altri, ma un’altra cosa. Gesù sta dicendo ai suoi che nessuno, prima di quel momento, aveva mai visto un re cavalcare un somarello nel giorno della sua intronizzazione.
Questo è il senso. Gesù vuole ribaltare la storia, rovesciando l’idea di potenza. Il regno di cui lui è il re apparterrà legittimamente ai miti, ai poveri, agli umili. La logica del mondo è sconfitta dalla logica del somarello che è la logica della mitezza, dell’umiltà, della piena obbedienza alla volontà del Padre. Quella stessa che Gesù ci ha insegnato quando ha detto «imparate da me che sono mite e umilie di cuore» e che ci ha mostrato in tutta la Settimana Santa, sin dal suo ingresso trionfale a Gerusalemme.
Aiutaci, Signore, ad ascoltare bene la predica del somarello. Rendi il nostro cuore mite e umile come il tuo, perché possiamo aiutarti a rovesciare dal trono la logica del potere, dell’arroganza, della violenza, della superbia. Buona settimana santa di vero cuore a tutti!