Buongiorno a tutti! Il Vangelo della seconda domenica di Quaresima ci chiede di seguire Gesù su un alto monte per assistere, in compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni, alla sua Trasfigurazione. Un’epifania gloriosa, che, inevitabilmente, ci pone nel cuore una domanda: perché il Maestro si mostra ai discepoli così splendente e luminoso? Avendo presente questo interrogativo, mettiamoci in ascolto della Parola.
Per dare una risposta alla domanda sul perché Gesù abbia sentito la necessità di manifestarsi trasfigurato ad alcuni dei suoi amici mentre si dirigevano a Gerusalemme, bisogna fare un piccolo passo indietro nel racconto del Vangelo secondo Marco. Sei giorni prima, a Cesarea di Filippo, nel bel mezzo di una verifica di comunità, Gesù sconvolge letteralmente i suoi discepoli rivelando per la prima volta quale sarà il suo destino una volta giunti a Gerusalemme. Il Figlio dell’uomo, dice in quella circostanza, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare. Non c’è un’accoglienza serena delle sue parole. Pietro, prendendo il Maestro in disparte, facendosi interprete del pensiero dei suoi compagni di viaggio, glielo dice senza filtro: «Nulla di quello che stai dicendo ti capiterà, Dio te ne scampi». Per sei giorni, lungo il cammino, Gesù osserva il volto dei discepoli visibilmente preoccupato. E proprio perché desidera che superino il momento difficile che stanno attraversando decide di mostrare loro in anticipo la gloria della risurrezione, quella gloria che apparterrà a Gesù e ai suoi amici solo dopo essere passati per l’esperienza della sofferenza e della morte. I discepoli, in pratica, vedendo che la gloria futura a cui saranno destinati non è paragonabile ai problemi e ai patimenti della vita presente avranno nel cuore quella consolazione che li aiuterà ad affrontarli con coraggio.
Nasce in questo modo la necessità della Trasfigurazione per i discepoli di tutti i tempi. Trasfigurare la realtà storica in cui si vive significa in fondo proiettare su di essa la luce della gloria futura. Significa, detto in altre parole, comprendere che il dolore, la sofferenza, la morte, non hanno e non avranno mai l’ultima parola. C’è sempre una porta aperta verso un nuovo inizio, verso qualcosa di nuovo che nasce, verso una speranza che non delude!
Nel frattempo, nel cammino di tutti i giorni, ci vengono chieste due cose, per alimentare la fede e la speranza. La prima consiste nell’accogliere l’invito del Padre ad ascoltare Gesù: “Questi è il figlio mio, l’Amato. Ascoltatelo!”. Un invito che richiede da parte nostra l’impegno a fare spazio nel cuore al seme della Parola perché vi possa attecchire, germogliare e dare frutti. La Quaresima è tempo di ascolto. Ma per ascoltare l’altro, con la “a” maiuscola e minuscola, è necessario tacere e far tacere tutte le voci che distraggono la nostra attenzione. Nel bombardamento quotidiano delle informazioni che provengono dalle nostre molteplici connessioni, fare silenzio, purtroppo, si sta rivelando un impegno alquanto arduo. La seconda cosa è, in una parola, la carità. Dopo essersi trasfigurato i discepoli si ritrovano davanti Gesù, come l’avevano sempre visto. Gesù solo, dice l’evangelista. Solo Gesù, nient’altro che Gesù di Nazareth. Non dobbiamo dimenticare che è grazie alla sua umanità che abbiamo potuto entrare nella conoscenza sempre più profonda del volto del Padre, del cuore del Padre. Non solo. La carne di Cristo, dice papa Francesco molto spesso, è la carne dei nostri fratelli. Amando loro amiamo il Signore. Anzi, chi non ama i fratelli, non può neppure dire d’averlo veramente conosciuto.
Fissiamo allora il nostro sguardo su Gesù trasfigurato. Chiediamo di essere illuminati costantemente dalla presenza del Signore, dalla sua Parola, per affrontare con coraggio le tante situazioni in cui ci sembra di sperimentare solo buio e disperazione. Buona continuazione del cammino della Quaresima a tutti!