Meditazione XVIII del Tempo Ordinario – 6 agosto 2023

Buongiorno a tutti! La diciottesima domenica del Tempo Ordinario ci propone di salire sul monte Tabor per riascoltare e meditare il Vangelo della Trasfigurazione a cui chiediamo di infondere nel nostro cuore quella speranza che molto spesso vacilla o viene del tutto a mancare di fronte alle piccole o grandi croci della storia personale e di tutti. Mi piacerebbe che questo augurio giungesse oggi ai giovani di tutte le diocesi del mondo che si sono recati a Lisbona per invocare con papa Francesco sulla Chiesa e sul mondo una rinnovata effusione dello Spirito che sostenga e guidi tutti nei percorsi di maturazione di una umanità nuova, nella costruzione di un mondo in cui giustizia e pace non sono solo parole ma una realtà universalmente condivisa. Ascoltiamo con fede.

Non c’era di certo bisogno che Gesù conducesse i suoi amici su un monte alto perché comprendessero che la strada che da un po’ stanno facendo in sua compagnia è difficile e faticosa come tutte le strade in salita. Sei giorni prima, a Cesarea di Filippo, l’avevano proprio toccato con mano. Nel bel mezzo di una verifica di comunità in cui Gesù vuol sentire dai discepoli che cosa abbiano effettivamente capito di lui e di ciò che insegna, rivela per la prima volta quale sarà il suo destino una volta giunti a Gerusalemme. Il Figlio dell’uomo, dice, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare. Non c’è un’accoglienza serena delle parole di Gesù da parte dei discepoli. Pietro, prendendo il Maestro in disparte, glielo dice chiaro e tondo: «Nulla di quello che stai dicendo ti capiterà, Dio te ne scampi». Ma sono tutti sconvolti. Per sei giorni Gesù osserva lungo il cammino il volto dei suoi amici pieno di preoccupazione e di sbigottimento. E proprio perché desidera che superino il momento difficile che stanno attraversando decide di mostrare loro in anticipo la gloria della risurrezione, quella gloria che apparterrà a Gesù e ai suoi amici solo dopo essere passati per l’esperienza della sofferenza e della morte. I discepoli, in pratica, vedendo che la gloria futura a cui saranno destinati non è paragonabile ai problemi e ai patimenti della vita presente avranno nel cuore quella consolazione che li aiuterà ad affrontarli con coraggio.

Nasce in questo modo la necessità della Trasfigurazione per i discepoli di tutti i tempi. Trasfigurare la realtà storica in cui si vive significa in fondo proiettare su di essa la luce della gloria futura. Significa, detto in altre parole, comprendere che il dolore, la sofferenza, la morte, con cui facciamo una fatica incredibile a fare i conti non hanno e non avranno mai l’ultima parola. C’è sempre una porta aperta verso un nuovo inizio, verso qualcosa di nuovo che nasce, verso una speranza che non delude! Non credo sia un caso che questa data tradizionalmente legata alla festa liturgica della Trasfigurazione sia legata anche ad uno degli eventi più dolorosi dell’umanità. Il 6 agosto del 1945 è la data dello scoppio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Tutti sappiamo quali furono le tragiche conseguenze di quello scoppio. Da quel momento, da quel tremendo 6 agosto del ’45, l’umanità continua a provare angoscia per il pericolo che qualche matto possa usarla di nuovo. L’angoscia della morte, della distruzione, della fine incombente può gettare nella disperazione il cuore di chi non vede che la luce della speranza ha la forza di splendere anche nella tenebra più oscura.

Fissiamo allora il nostro sguardo su Gesù trasfigurato. Chiediamo di essere illuminati costantemente dalla presenza del Signore per affrontare con coraggio e speranza le tante situazioni in cui ci sembra di sperimentare solo buio e disperazione. Chiediamolo anche per intercessione di San Paolo VI di cui ricorre oggi il quarantacinquesimo anniversario del suo ritorno alla casa del Padre. Buona domenica della Trasfigurazione a tutti.